CORTE DEI CONTI 
         Sezione giurisdizionale regionale per la Lombardia 
 
    Nella  persona  del  giudice  monocratico  Eugenio  Musumeci,  ha
pronunciato la seguente ordinanza nel giudizio pensionistico iscritto
al n. 28462 del registro di segreteria della Sezione, proposto da  Di
Rosa Luigi, nato ad Avola (Siracusa) il 21 settembre 1942 e residente
a Travaco' Siccomario (Pavia) in via  Frua  n.  12,  esp.  1,  codice
fiscale DRSLGU42P21A522O, rappresentato e difeso  dall'avv.  Stefania
Chiessi (del foro di Vigevano), nonche' elettivamente  domiciliato  a
Milano in via Goffredo Sigieri n. 6 presso lo  studio  del  difensore
stesso, contro l'Istituto nazionale della previdenza sociale  (INPS),
in  persona  del  presidente  pro  tempore,  rappresentato  e  difeso
dall'avv. Giulio Peco (iscritto nell'elenco speciale annesso all'albo
degli avvocati presso il Tribunale di Milano), nonche'  elettivamente
domiciliato  a  Milano  in  via  Giuseppe  Missori  n.  8/10   presso
l'Avvocatura distrettuale INPS. 
 
                           Fatto e diritto 
 
    1. Con ricorso notificato all'INPS il 25 febbraio  2016,  nonche'
depositato presso questa Sezione il 23 di quello stesso  mese,  Luigi
Di Rosa, titolare di una pensione (erogata dall'INPDAP  anteriormente
al 31 dicembre 2011 e dall'INPS poi) pari a 3.226,49 euro mensili, ha
lamentato che per il  biennio  2012-2013  l'art.  24,  comma  25  del
decreto-legge n. 201/2011 (convertito dalla legge n. 214/2011)  aveva
introdotto un blocco alla perequazione per le pensioni  superiori  al
triplo del trattamento minimo INPS, senza alcun recupero  negli  anni
successivi: cosi' modificando radicalmente la  pregressa  disciplina,
di cui all'art. 34, comma 1 della  legge  n.  448/1998.  Ha  altresi'
evidenziato  che,  nonostante  la  declaratoria   di   illegittimita'
costituzionale del predetto art. 24, comma 25 pronunciata dalla Corte
costituzionale con la sentenza n. 70/2015,  l'art.  1,  comma  1  del
decreto-legge n. 65/2015 (convertito dalla legge n.  109/2015)  aveva
mantenuto l'azzeramento di qualsiasi perequazione oltre la soglia del
sestuplo del trattamento minimo INPS. 
    Pertanto il Di Rosa ha eccepito  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 1 del decreto-legge  n.  65/2015,  per  contrasto  con  gli
articoli 2, 3, 36 primo comma e 38 secondo comma della  Costituzione.
Conclusivamente  ha   domandato,   previa   rimessione   alla   Corte
costituzionale   della    suddetta    questione    di    legittimita'
costituzionale dell'art. 1 del decreto-legge n. 65/2015, la  condanna
dell'INPS al  pagamento  dei  maggiori  ratei  pensionistici  per  il
biennio 2012-2013. 
    2. Con comparsa depositata il 16 maggio  2016  si  e'  costituito
l'INPS, contestando nel merito la fondatezza delle domande attoree. 
    All'udienza del 14 ottobre 2016 la causa e' stata discussa  dalle
parti e, infine, questo giudice l'ha trattenuta in decisione. 
    3.  Nel  merito  dal  cedolino  pensionistico  di  gennaio   2012
(allegato 2 al ricorso) si evince che  all'epoca  la  pensione  lorda
mensile del Di Rosa, ammontando a 3.226,49 euro, eccedeva il sestuplo
del  trattamento  minimo  INPS:  minimo  che,  come   ricordato   dal
resistente stesso (a pag. 5 della sua comparsa difensiva), in  quegli
anni si aggirava sui 500 euro mensili. 
    Oltre quel limite del sestuplo  il  comma  25  dell'art.  24  del
decreto-legge  n.  201/2011,  quale  novellato  (all'indomani   della
sentenza n. 70/2015  della  Corte  costituzionale)  dall'art.  1  del
decreto-legge   n.   65/2015,   continua   ad   escludere   qualsiasi
perequazione relativamente al biennio 2012-2013.  Ulteriore  conferma
dell'assenza di qualsiasi perequazione per la  pensione  dell'odierno
ricorrente, addirittura nel quinquennio tra il 2012 e il 2016, la  si
trae dalle tabelle di cui ai paragrafi 1.1, 1.2 e 1.3  del  messaggio
INPS n. 4993 del 27 luglio 2015 (allegato 2 alla comparsa INPS). 
    Risulta  percio'  indubbia  la  rilevanza  della   questione   di
legittimita' costituzionale della novella che il predetto art.  1  ha
apportato al comma 25 dell'art. 24 del decreto-legge n. 201/2011. 
    4. D'altro canto detta questione va reputata  non  manifestamente
infondata, in riferimento sia al principio di ragionevolezza  di  cui
all'art. 3, sia agli articoli 36, primo comma  e  38,  secondo  comma
della Costituzione. 
    Infatti,  in  argomento,  il  principio  affermato  dalla   Corte
costituzionale  e'  quello  secondo  cui   «la   proporzionalita'   e
l'adeguatezza devono sussistere non solo al momento del  collocamento
a riposo ma vanno costantemente assicurati anche  nel  prosieguo,  in
relazione al mutamento del potere di acquisto della moneta» (sentenza
n. 173/1986). Inoltre, anche  se  «l'art.  38  Cost.  non  esige  che
l'adeguamento delle prestazioni previdenziali ai mutamenti del potere
di acquisto della moneta proceda mediante meccanismi automatici ...»,
potendo invece esso «... avvenire anche  con  interventi  legislativi
periodici ...»  (sentenza  n.  337/1992),  in  se'  e  per  se'  tale
adeguamento risulta indispensabile: ossia senza eccezioni che abbiano
riguardo all'entita' della pensione stessa. Tanto cio' e'  vero  che,
con la sentenza n. 316/2010, il giudice delle leggi ha ribadito  come
anche «le pensioni ... di  maggiore  consistenza  ...»  debbano  «...
essere sufficientemente difese in relazione ai mutamenti  del  potere
d'acquisto della moneta»:  valendo  a  minare  tale  difesa  «...  la
sospensione a tempo indeterminato del meccanismo  perequativo  ovvero
la frequente reiterazione di misure intese a paralizzarlo ...». 
    5. Se dunque si va a verificare la  misura  di  tale  adeguamento
delle pensioni al costo della vita, deve ricordarsi  come  sul  piano
generale l'aumento definitivo di perequazione  automatica  sia  stato
fissato: 
        per il 2012, al 2,7% (decreto MEF  16  novembre  2012,  nella
Gazzetta Ufficiale 27 novembre 2012); 
        per il 2013, al 3%  (decreto  MEF  20  novembre  2013,  nella
Gazzetta Ufficiale 29 novembre 2012); 
        per il 2014, all'1,1% (decreto MEF 20  novembre  2014,  nella
Gazzetta Ufficiale 2 dicembre 2014); 
        per il 2015, allo 0,2% (decreto MEF 19 novembre  2015,  nella
Gazzetta Ufficiale 1° dicembre 2015); 
        per il 2016, allo 0%, in via  previsionale  (decreto  MEF  19
novembre 2015, cit.). 
    Inoltre, poiche' aritmeticamente tali aumenti si  compongono  tra
loro  (anziche'  addizionarsi),  ne  scaturisce   per   esempio   una
variazione del 5,78% per il biennio 2012-2013  e  del  6,94%  per  il
triennio  2012/2014.  Dopodiche'  la  dinamica   inflattiva   si   e'
pressoche' azzerata nel biennio 2015/2016;  ma  e'  notorio  come  il
tasso di inflazione che l'Unione europea considera ottimale sia  pari
al  2%  annuo,  Il  che  equivale  a  dire   che,   in   assenza   di
quell'adeguamento che gia' da un lustro viene completamente negato al
Di Rosa (avendogli fatto cosi' ridurre il potere d'acquisto della sua
pensione, come  s'e'  appena  visto,  di  quasi  il  6%  nel  biennio
2012-2013 e di poco meno del 7% nel  triennio  2012/2014)  in  virtu'
della normativa qui censurata, il non condivisibile principio ad essa
sotteso ridurrebbe in  misura  rilevantissima  il  valore  della  sua
pensione (per esempio di circa un terzo nei vent'anni  successivi  al
2012, ossia in un normale arco temporale di godimento del trattamento
di quiescenza stesso). 
    Dunque va senz'altro condiviso  il  gia'  ricordato  insegnamento
della Corte costituzionale secondo cui la protezione dell'inflazione,
in  misura  non  simbolica  (quale,  nella  fattispecie,  neppure  si
riscontra),  risulta  necessaria  quale  che  sia  la  misura   della
pensione. E si appalesa, invece,  la  totale  irragionevolezza  delle
norme qui censurate. 
    6. A quest'ultimo proposito quelle medesime esigenze finanziarie,
le quali benche' invocate gia'  nel  decreto-legge  n.  201/2011  non
hanno impedito alla Corte costituzionale di reputare «... valicati  i
limiti  di  ragionevolezza  e  proporzionalita'  ...»  (sentenza   n.
70/2015),  ad  avviso  di  questo  giudice  non  hanno   indotto   il
legislatore, a dispetto  del  loro  nuovo  richiamo  nella  relazione
illustrativa al disegno di legge di conversione del decreto-legge  n.
65/2015, ad esercitare in quest'ultimo, asseritamente attuativo della
teste'  menzionata  pronuncia  costituzionale,  quel  «...   corretto
bilanciamento ...» ivi auspicato dal giudice delle leggi. 
    Percio' i  timori  di  insufficiente  protezione  delle  pensioni
dall'inflazione,  gia'  palesati   dall'art.   24,   comma   25   del
decreto-legge n. 201/2011, per una pensione ultra sestuplum risultano
pienamente confermati dalla successiva  legislazione  qui  censurata.
Conseguentemente appare non manifestamente infondata la questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 1 del decreto-legge n. 65/2015:
che  va  sollevata  in  riferimento  non  soltanto  al  principio  di
ragionevolezza, ma anche a  quei  medesimi  parametri  costituzionali
(ossia il primo comma dell'art. 36 ed il secondo comma dell'art.  38)
che, ad avviso della Consulta stessa, gia' non informavano l'art. 24,
comma 25 del decreto-legge n. 201/2011. Invero il  rispetto  di  tali
parametri, tanto piu'  ove  dipendesse  dallo  specifico  quantum  di
adeguamento alla dinamica inflattiva apprestato (per ciascuna  fascia
di pensioni) con il decreto-legge n. 65/2015,  evidentemente  compete
alla  Corte  costituzionale  stessa  stabilire  se  in  questa  nuova
occasione vi sia stato o  meno:  cio'  che  peraltro  questo  giudice
esclude, alla luce delle considerazioni fin qui  svolte,  per  quanto
possa rilevare rispetto al  vaglio  di'  non  manifesta  infondatezza
della questione di legittimita' costituzionale qui delineata. 
    7. E' infine appena il caso di osservare come  le  argomentazioni
difensive dell'INPS varrebbero, a ben vedere, a  dimostrare  gia'  la
legittimita' costituzionale dell'art. 24, comma 25 del  decreto-legge
n. 201/2011: talche' oggi esse appaiono  palesemente  finalizzate  ad
ottenere un inammissibile secundum iudicium della Consulta,  stavolta
in riferimento al decreto-legge n.  65/2015,  ancorche'  quest'ultimo
abbia pienamente reiterato,  per  le  pensioni  altra  sestuplum,  un
quadro normativo gia' dichiarato costituzionalmente illegittimo.